La basilica di Santa Chiara, o il monastero di Santa Chiara, è un edificio di culto monumentale di Napoli, tra i più importanti e grandi complessi monastici della città. 

La basilica ha il suo ingresso su via Benedetto Croce, sorgendo sul lato nord-orientale di piazza del Gesù Nuovo, di fronte alla chiesa omonima ed adiacente a quella delle clarisse, un tempo quest’ultima facente parte del complesso monastico di Santa Chiara.

Si tratta della più grande basilica gotica della città, caratterizzata da un monastero che comprende quattro chiostri monumentali, gli scavi archeologici nell’area circostante e diverse altre sale nelle quali è ospitato l’omonimo Museo dell’Opera, che a sua volta comprende nella visita anche il coro delle monache, con resti di affreschi di Giotto, un grande refettorio, la sacrestia ed altri ambienti basilicali.

Voluta da Roberto d’Angiò e sua moglie Sancia di Maiorca, quest’ultima devota alla vita di clausura seppur impossibilitata a rispondere a tale vocazione,[1] fu chiamato all’edificazione della chiesa l’architetto Gagliardo Primario che avviò i lavori nel 1310 per poi terminarli nel 1328, aprendo al culto definitivamente nel 1330 seppur la consacrazione a Santa Chiara avverrà solo nel 1340. La chiesa, costruita in forme gotiche provenzali, assurse ben presto a una delle più importanti di Napoli al cui interno lavorarono alcuni dei più importanti artisti dell’epoca, come Tino di Camaino e Giotto, con quest’ultimo che esegue nel coro delle monache affreschi su Episodi dell’Apocalisse e Storie del Vecchio Testamento.[2] Assieme alla basilica fu edificata adiacente ad essa anche un luogo di clausura per i frati minori, divenuto in seguito la chiesa delle Clarisse.[1]

Nella basilica di Santa Chiara, il 14 agosto 1571, vennero solennemente consegnate a don Giovanni d’Austria il vessillo pontificio di Papa Pio V ed il bastone del comando della coalizione cristiana prima della partenza della flotta della Lega Santa per la battaglia di Lepanto contro i Turchi Ottomani.

Nel 1590 fu a lungo custode del regio monastero Antonino da Patti, autore di varie grazie e miracoli sui malati che lo porteranno a diventare venerabile.

Tra il 1742 e il 1796 venne ampiamente ristrutturata in forme barocche da Domenico Antonio Vaccaro e Gaetano Buonocore. Gli interni furono abbelliti con opere di Francesco de Mura, Sebastiano Conca e Giuseppe Bonito; a Ferdinando Fuga si deve invece l’esecuzione del pavimento marmoreo, avvenuta nel 1762. 

Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento degli alleati del 4 agosto 1943 provocò un incendio durato quasi due giorni che distrusse in parte alcuni interni della chiesa, perdendo così tutti gli affreschi eseguiti nel XVIII secolo e gran parte di quelli giotteschi eseguiti durante l’edificazione dell’edificio, di cui si sono salvati solo pochi frammenti.[2] Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio Dell’Aja fu nominato “rappresentante dell’ordine dei Frati Minori per i lavori di ricostruzione della basilica”. In seguito, i discussi lavori di restauro si concentrarono sull’architettura medievale rimasta intatta ai bombardamenti, riportando la basilica all’aspetto originario trecentesco e omettendo in questo modo il ripristino delle aggiunte settecentesche.

I lavori terminarono definitivamente nel 1953 e la chiesa fu riaperta al pubblico. Le opere scultoree sopravvissute, dopo la ricostruzione, furono spostate nelle sale del monastero, oggi Museo dell’Opera, mentre i sepolcri monumentali, per lo più reali, che invece caratterizzavano la basilica sono rimasti in loco, seppur alcuni di essi fortemente danneggiati.

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